di Giulia Segna – Sempre più consumatori leggono le etichette di cibi e cosmetici, prima di acquistarli. Lo afferma un recente studio condotto da LEK, società di consulenza gestionale: più del 60% degli intervistati dichiara infatti di preferire i prodotti presentati come “naturali” a quelli trattati chimicamente.
I consumatori hanno un potere enorme, molto più di quanto pensano. Le scelte quotidiane di ognuno influenzano profondamente le scelte delle aziende. In effetti, da qualche anno a questa parte, l’industria agroalimentare e cosmetica si sta convertendo alla “clean label”, l’etichetta pulita: concisa, comprensibile e ricca di ingredienti naturali. Questo chiedono i consumatori. A rivelarlo, le analisi della Doxa, società leader nelle ricerche di mercato: in una recente intervista, il 66% degli italiani coinvolti ha dichiarato di prestare sempre o spesso attenzione ai valori nutrizionali sulle etichette dei prodotti alimentari quando fa la spesa. Un atteggiamento che, nella fase del primo lockdown, è addirittura cresciuto.
Anche l’Osservatorio Immagino conferma il trend: tra l’estate del 2019 e del 2020 si è verificato un aumento pari al 4,5% degli italiani che, nella selezione del cibo, hanno prediletto gli articoli con etichetta “free from”.
In particolare, l’interesse ricade sulle diciture “senza zuccheri aggiunti”, “senza antibiotici”, “senza glifosato” e “senza olio di palma”. Riflessione a parte merita l’indicazione “senza conservanti”, che continua ad essere la prima per incidenza sulle vendite (9,7% di quota).
La domanda di prodotti di qualità sta coinvolgendo rapidamente anche il settore cosmesi. In effetti, l’Osservatorio Immagino fa sapere che l’etichetta “dermatologicamente testato” è stata ricercatissima dagli italiani nel periodo 2019-2020. In crescita anche il claim “senza parabeni”, che nei 12 mesi rilevati è cresciuto del 4,7%; mentre la vendita degli articoli “bio” è aumentata del 5,1%, portando il sell-out a oltre 72 milioni di euro. Tra le categorie principali per giro d’affari, i prodotti per l’igiene intima, i bagno doccia, i prodotti per la cura del viso donna e i saponi liquidi.
Sebbene la moda della “clean label” stia impazzando tra gli scaffali dei supermercati, nessuna regolamentazione legislativa ne definisce i parametri. Non ci sono ancora delle regole specifiche sul tema, né a livello nazionale né comunitario. Molte aziende, infatti, approfittano delle lacune giuridiche per proporre etichette attraenti e indurre i consumatori a credere che il prodotto sia di eccellente qualità. Lo sa bene Julie Chapon, francese di 32 anni e laureata in commercio, che proprio per questo motivo ha creato l’app “Yuka”.
“L’obiettivo di Yuka”, racconta a B-HOP magazine, è migliorare la salute dei consumatori aiutandoli a decifrare le etichette dei prodotti alimentari e cosmetici”. L’applicazione, infatti, è in grado di scansionare il codice a barre degli articoli e mostrarne il livello qualitativo: scarso, mediocre, buono o eccellente a seconda del numero di additivi chimici più o meno nocivi, in combinazione con la quantità di sale, zucchero e conservanti contenuti.

Julie Chapon ha fondato l’app insieme ai fratelli Benoit e François Martin. “Abbiamo lanciato l’app in Italia lo scorso ottobre ed è stato un successo inaspettato: ad oggi abbiamo 1,5 milioni di utenti. I feedback che stiamo ricevendo sono ottimi. Credo che, così come in Francia, in Italia ci sia una forte cultura gastronomica e gli italiani amano mangiare, quindi c’è un’attenzione molto alta alla qualità del cibo”.
A conferma di quanto riportato sopra, Julie prosegue: “I consumatori hanno il potere di cambiare le regole del mercato: milioni di persone che modificano le proprie abitudini di acquisto hanno un impatto enorme sull’industria”. In Francia, racconta, l’app è in utilizzo da più tempo e i suoi iscritti sono numerosissimi: molti additivi nocivi individuati da Yuka sono stati rimossi da cibi e cosmetici, senza che avessero ricevuto un divieto esplicito dal governo francese.
L’applicazione è semplice da capire e molto efficace. Basta qualche scansione ai cibi di casa per rendersi conto di quanto siano diffusi gli additivi chimici, anche dannosi. Perfino nei prodotti con etichette verdi sfavillanti e disegnini di piante, che spesso ci traggono in inganno.
Tantissime sostanze sono ancora autorizzate dall’UE perché in fase di analisi, ma secondo Julie “se un componente risulta “dubbio” dovrebbe immediatamente essere bannato”. “La verità”, conclude, “è che una delle ragioni prevalenti sul perché molti governi fanno finta di niente è legata al conflitto di interesse, come per l’aspartame, di cui molti studi che ne testano la pericolosità, sono volutamente ignorati”.