di Patrizia Caiffa – “La Nuova Terra” (Guanda, 2021) dello scrittore, artista e regista Sebastiano Mauri è un romanzo inedito, coraggioso, originale, spirituale e realistico al tempo stesso. Un appassionato appello a rispettare la Terra e tutti i suoi abitanti.
Ambientato tra l’Amazzonia peruviana e l’Argentina, racconta un importante cambiamento di vita e visione in seguito all’esperienza delle cerimonie con l’ayahuasca, una delle piante di medicina utilizzate dai popoli indigeni per raggiungere profondi stati di coscienza e consapevolezza.
Il protagonista Leone è un autore televisivo che vive a Buenos Aires. Viene trascinato dalla cugina nella foresta amazzonica, tra donne sciamane dell’etnia shipibo. Da quel momento in poi la sua esistenza ne esce totalmente stravolta. L’autore usa un tono profondo ed autoironico al tempo stesso, una voce unica e sincera che ha il coraggio di correre il rischio di non essere compreso dall’establishment letterario. Perché non è facile far immedesimare il lettore nello spessore di certe esperienze se non vengono sperimentate in prima persona. Invece la scrittura di Mauri ci riesce benissimo, e lo fa con tocco sapiente, coinvolgente e scorrevole. Tanti i temi toccati nel libro: dalla spiritualità alla necessità di salvare i popoli indigeni e le loro tradizioni, dall’amore per la natura al rischio incombente dei cambiamenti climatici, fino alla riscoperta del femminile. Sullo sfondo una vicenda di coppia, ma non sveliamo di più.

Mauri, italo-argentino che vive a Milano ed ha trascorso molti anni negli Stati Uniti, ha scritto il romanzo durante il lockdown del 2020, sette lunghi mesi trascorsi nella campagna argentina, in totale isolamento. Perciò il libro è di grandissima attualità, anche se il Covid non viene quasi mai nominato, se non nel finale. L’autore crea un personaggio di fiction ma si capisce che molto di ciò che scrive è vissuto. E’ un mettersi a nudo che applica usando una regola appresa dal libro dell’autrice americana Brenda Ueland “If You Want to Write: a Book about Art, Independence and Spirit”: “Scrivi come se tutte le persone che conosci fossero morte”. “Per me è stata una frase meravigliosa. Quando scrivo provo sempre a tenere questo consiglio in mente”, confida Mauri in questa intervista esclusiva a B-hop magazine.
Quindi Leone è un po’ Sebastiano e viceversa?
La scelta di usare il personaggio di Leone è un modo per essere libero dall’obbligo della mia biografia. Ma anche per andare più a fondo nella verità, perché le autobiografie sono poco sincere: passiamo le nostre vite indossando delle maschere, censurando e decidendo cosa condividere e cosa no, cosa fa parte della nostra vita privata o della narrativa pubblica. E’ ovvio che quando qualcuno legge il romanzo trasporta il 98% sulla mia persona. Però il dubbio rimane sempre ed io ho sempre il diritto di alzare le braccia.
Oltre all’intimità che fa immedesimare nella voce narrante del protagonista, nel romanzo c’è molta autoironia, un mix tra profondità e comicità.
E’ il mio modo di scrivere, anche perché amo molto la letteratura comica ed ironica. Ho vissuto molti anni negli Stati Uniti e lì ci sono grandi autori del genere, in Italia meno conosciuti e popolari. Ma anche Pirandello usava l’ironia per andare a fondo nel dramma. In questo caso specifico mi interessava usare questo registro perché i libri che parlano di esperienze simili, di spiritualità, o di animismo sono spesso molto seriosi. Per me è stata una sfida mantenere questo tono parlando di spiritualità e di cambiamento climatico, un tema tutt’altro che divertente.
Anche se nomini il Covid-19 solo nel finale il messaggio più forte che esce dal libro è quello di salvare la Terra dalla catastrofe climatica, i cui rischi sono meno percepiti ma forse peggiori della pandemia.
E’ centomila volte più grave. Ancora non sappiamo se il Covid arriva dai pipistrelli o è fuggito da un laboratorio di Wuhan ma il virus è solo una delle tante facce del cambiamento climatico, oltre alle eruzioni dei vulcani, alle inondazioni, allo scioglimento dei ghiacciai e all’innalzamento dei mari. Tra qualche anno i barconi diventeranno carichi di decine di migliaia se non milioni di profughi ambientali. Giacarta, capitale dell’Indonesia, ha già annunciato che sarà trasferita nella foresta del Borneo. Anche Dacca, in Bangladesh, è a rischio: dove andranno?
Il Covid è una delle tante facce della crisi climatica. Noi non torneremo mai alla normalità.
Spero che questo sia chiaro a tutti. Lo vediamo: ogni estate è sempre più imbarazzante la quantità di cose che succedono, tra siccità e incendi. Metà del mondo va a fuoco e tutto questo è esponenziale. Pensiamo allo scioglimento della Groenlandia, che è piena di metano, un gas 76 volte più inquinante della CO2: chissà quanti virus contengono quei ghiacci, possiamo aspettarci qualunque cosa. Lo scioglimento della calotta nordica significa una possibile e probabile interruzione della corrente del Messico che ci porta l’estate tutti gli anni, con la minaccia di una glaciazione in Europa. Il Covid è un tema importante, peccato ci distragga dal fatto che abbiamo problemi ben più gravi.
La sensibilità sul tema dei cambiamenti climatici c’era già prima oppure è nata durante l’esperienza con l’ayahuasca, chiamata dai popoli originari “la Madre”?
Prima mi informavo ma poi – come tutti – guardavo dall’altra parte. Non mi ero reso conto dell’urgenza del problema, andavo avanti un po’ per inerzia, sentendo come diritto quasi ‘divino’ mantenere il nostro stile di vita europeo. L’esperienza con la Madre ti mette davanti allo specchio, attaccandoti in presa diretta con la tua coscienza, che prima riuscivi a zittire. Attraverso di lei il problema diventa parte di te. Fai molta più fatica a non assumerti la responsabilità delle tue azioni. Nel libro racconto l’episodio dello zoo, con un giaguaro e animali chiusi in gabbia mentre dietro c’è la giungla. Solitamente li vedi, ti deprimi un po’ ma poi fai shopping e torni a casa. L’ayahuasca ti fa provare cosa significa essere quel giaguaro, che mai più nella sua vita uscirà da quella gabbia o mangerà qualcosa di decente. Sì mi è servita molto l’esperienza con la Madre, non potevo più continuare a guardare dall’altra parte.
Tutti pensavamo di uscire migliori dalla pandemia, con stili di vita rispettosi dell’ambiente. Speravamo che le città potessero tornare a respirare invece sembra peggio di prima: fine dello smart working, traffico, caos. Non abbiamo imparato nulla dall’esperienza?
Rispondo dicendo cosa voglio pensare, non cosa penso. Io continuo a sperare tantissimo che non si torni come prima. Anch’io a Milano vengo svegliato da strombazzamenti peggiori di prima, abbastanza scoraggianti. Nei tg ci parlano sempre e solo del Pil bruciato: ma se per mesi non siamo andati a comprare vestiti che non garantiscono i diritti dei lavoratori asiatici, che per arrivare da noi fanno viaggi lunghissimi, poi vengono usati quattro volte e poi buttati…ben venga che quella porzione di Pil e consumismo sia bruciata. In realtà abbiamo anche risparmiato tanti soldi anziché usarli per attività e acquisti fatti per inerzia ma di cui non abbiamo davvero bisogno. Una vignetta del New Yorker mostra un padre davanti al fuoco con i suoi bambini che dice: “Si è vero il mondo è distrutto però c’è stato un momento in cui come investitori abbiamo fatto un sacco di soldi e i nostri Pil erano pompatissimi”. E’ quello che sta accadendo ora.
Ci stiamo ancora occupando del Pil mentre dovremmo pensare al Bil, ossia al Benessere interno lordo. Io tendo a mantenere una visione positiva e a non lasciarmi abbracciare dal pessimismo perché credo che l’immaginazione abbia un suo potere creativo. Anche solo ripetere il mantra ‘siamo fottuti’ è un modo per accelerare il processo.
Perciò la Nuova Terra è lontana o vicina?
La Nuova Terra non è un concetto inventato da me. E’ contenuto in una antichissima profezia andina dell’aquila e del condor. L’aquila rappresenta la pragmaticità, la razionalità, l’intelletto; il condor il cuore, l’intuizione, la spiritualità. In questo momento storico ci sarebbe stata una predominanza dell’aquila e dei paesi e delle popolazioni che rappresentano l’aquila (il mondo occidentale), a discapito del condor, ossia i popoli originari delle Americhe, che sono stati decimati al 95%. Però tutto ciò porterà alla distruzione del mondo. E qui stiamo. Io molte cose le ho scritte prima del 2020, dicendo che saremmo stati costretti a rallentare, a guardarci dentro, a capire che il nostro stile di vita non è sostenibile.
Abbiamo dimenticato che nessun organismo può prosperare se non prospera il suo ecosistema. Per questo è fondamentale la salute di tutti i suoi elementi, dai mammiferi più grandi al batterio più piccolo. Tutti sono necessari e tutti devono essere sani.
Poi è arrivato il 2020 e ci siamo accorti che è iniziato un nuovo ciclo. La profezia dice che poi arriveremo al riequilibro tra l’aquila e il condor, alla Nuova Terra, con una umanità più consapevole, spirituale ed ecologica, con un riscatto del femminile.
A questo proposito una frase forte nel libro è: “Il dominio del maschile sul femminile e il dominio dell’uomo sulla Natura vanno mano nella mano. Non smetteremo di maltrattare la Natura fino a che non smetteremo di maltrattare il femminile”.
Infatti un altro principio dei popoli originari è considerare l’umanità come un uccello, che non può volare solo con un’ala e trattenere l’altra, quella del femminile. Per femminile non intendo solo le donne ma anche il lato femminile degli uomini. La nostra società valorizza gli aspetti maschili, ma le donne che fanno carriera devono sopprimere la loro parte femminile.
Quello che dobbiamo fare è invece ritrovare l’equilibrio tra maschile e femminile. Non possiamo continuare a martoriare il femminile.
Anche perché il 90% dei lavori persi durante il Covid sono stati quelle delle donne. I cambiamenti climatici sono prodotti dal primo mondo ma i paesi più poveri sono i primi a sentirne gli effetti. Guardiamo quello che succede ad Haiti, con uragani, terremoto e povertà: le persone arrivano disperate al confine americano e noi rispondiamo frustandoli. Quelli non sono valori femminili. Questa è un’altra enorme ferita che come società dobbiamo curare. Agli uomini non è permesso mostrare le proprie debolezze e insicurezze fin da bambini. Il maschio italiano può esprimere le proprie emozioni solo quando la sua squadra fa goal. La narrativa è centrata sul capofamiglia ma poi se molti uomini si ritrovano senza lavoro non possono esprimere le loro paure, frustrazioni e debolezze legate a questo stato. Così la rabbia repressa e l’incapacità di esprimersi viene tirata fuori in altro modo, tra cui i femminicidi e i suicidi. La fiction del “vero uomo” che abbiamo creato produce persone inadatte ad affrontare la vita, soprattutto davanti ad un momento di crisi planetaria. Queste cose non possono far altro che peggiorare se non curiamo la nostra visione di ciò che è il maschio.