(di Michela Zaninello) – Dopo lo smartphone arriva in Italia anche lo smart working. Detto anche lavoro agile o telelavoro è una formula di lavoro che permette alle aziende di dare la possibilità ai propri dipendenti di conciliare meglio il tempo casa-lavoro lasciando pertanto maggiore autonomia nella gestione del tempo e del luogo di lavoro.
Vuol dire che si può lavorare da casa, dal parco, da un co-working o dal mare…Certo dipende dal tipo di lavoro e dal grado di flessibilità che l’azienda offre.
Dai dati EWCS del 2016 sul grado di diffusione dello smart working in Europa emerge che l’Italia è ancora fanalino di coda.
E’ noto che la legislazione italiana è probabilmente tra le più strutturate e articolate in materia di lavoro e questo a volte non permette un dialogo costruttivo. Talvolta inoltre, la paura delle aziende di cambiare delle dinamiche a vantaggio del dipendente diventa una deterrente.
Pensiamo all’infortunio sul lavoro, uno dei primi temi sollevati dai sindacati che si chiedono come definire l’infortunio se la sede di lavoro può essere “il mondo” e il tragitto per raggiungerla non è definibile a priori?
A tal proposito la risposta è stata: “si prevede l’applicazione della tutela pur nell’incertezza del luogo ove la prestazione si svolge fuori dai locali aziendali a patto che la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza”.
Come spesso avviene la nebulosità che talvolta troviamo nelle risposte ci pone altri quesiti. Saranno come sempre i primi casi a definire i reali perimetri. Spesso è proprio questa poca chiarezza che non permette alle aziende di affrontare serenamente le innovazioni nel campo del lavoro.
Siamo tutti a conoscenza di quanto un errore anche fatto in buona fede, possa pesare (anche e soprattutto economicamente parlando) nel rapporto con le istituzioni e con il dipendente

Ornella Torresani, Project leader, consulente e facilitatrice dei processi creativi in azienda spiega a b-hop che “la realtà italiana non è fatta di grandi imprese (basti pensare che il 95% delle aziende italiane ha meno di 9 dipendenti – fonte Istat 2015) ma di tante piccole/medie imprese radicate nel territorio, che vedono l’innovazione, talvolta, come una fonte di stress”
Completamente diverso per le nuove realtà. Pensiamo a tutte le start up che scelgono spazi come il co-working per lavorare e, se all’inizio può essere una scelta strettamente economica, diventa poi una scelta di stile di vita aziendale legata all’estrema mobilità che oggi una azienda nuova deve possedere come prima caratteristica.
Torresani si occupa di divulgare e supportare le aziende nel processo di conoscenza e applicazione dello smart working. Un processo che segue degli step necessari per permettere all’azienda e ai dipendenti di conoscerne i benefici.
“La prima fase è la conoscenza, una mappatura dell’azienda, e di come far aderire lo smart working alla realtà esistente”.
Il rapporto che deve instaurarsi nella nuova realtà dev’essere “win to win” quindi datore di lavoro e dipendenti devono uscirne soddisfatti. Pertanto è fondamentale capire il grado di flessibilità da adottare.
Lo smart working è infatti un atto di grande fiducia della dirigenza nei confronti dei dipendenti e dall’altra parte un atto di grande responsabilità.
“Diventa cruciale lo step successivo, ovvero: la consapevolezza dei perimetri del nuovo approccio lavorativo”.
Apprendere come essere smart worker sembra semplice di primo impatto ma da una giornata cadenzata dagli orari dell’ufficio si passa alla totale autonomia nella gestione del tempo… E non sempre tutti sanno come gestirlo. L’aumento di responsabilità, spesso collegato alla reale necessità di delegare può diventare una forma di stress per il dipendente.
Essere alla propria scrivania e condividere con i colleghi la quotidianità è un valore da non sottovalutare. In taluni casi potrebbe essere un deterrente alla produttività (ed in questo caso lo smart working è una soluzione) dall’altra la mancata condivisione “umana” della vita da ufficio rischia di diventare controproducente.
Sicuramente la tecnologia può e deve aiutare questo processo. Un’altra fase da valutare secondo Ornella Torresani è proprio questa: “La tecnologia dev’essere di supporto, quindi agile e soprattutto sicura”
Infine, la tutela.
“L’accordo per lo smart working dev’essere scritto, volontario, sicurezza in caso di infortunio fuori dai locali aziendali, trattamento economico come per gli intra muros “
Il miglioramento della qualità della vita è tangibile, il tempo torna ad essere di proprietà del legittimo proprietario che decide come organizzarlo. Lo smart working è una conquista ed un tesoro prezioso tanto per il dipendente quanto per l’azienda.
Come in tutti i rapporti, il rispetto reciproco resta la base per qualsiasi accordo.