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A Roma la street art di “Pinacci Nostri” porta la bellezza nel quartiere Boccea e Pineta Sacchetti

di Maria Ilaria De Bonis
13 Gennaio 2018
in Buenvivir, Primo Piano
Tempo di Lettura: 6 mins read
44 0
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(di Maralis) – Il progetto collettivo si chiama Pinacci nostri, street art dal basso a Pineta Sacchetti: movimento artistico indipendente nato nel 2015 a Roma, che porta la bellezza sui muri del quartiere. E la socialità in strada. In poco tempo gli street artist hanno recuperato le radici storiche di un pezzo importante della città che aveva completamente dimenticato se stesso.

L’ultima opera in ordine di tempo è un murale di Carlo Gori, classe 1968, artista eclettico, novarese di nascita romano d’adozione. 

 faccedamercato

‘Facce da mercato’ riempie tutti e quattro i muri del Lady bar, proprio all’inizio del mercatino rionale di via Urbano II.  A colpire non è solo il monumentale ed elaborato disegno, ma l’intero processo creativo, in qualche modo collettivo.

«La gente mi vedeva disegnare e mi chiedeva: “Mettimici! Mettimi nel murale!»,

racconta Carlo a b-hop e così dentro sono finiti i volti degli abitanti del quartiere che è racchiuso tra la Pineta Sacchetti, via Boccea e Primavalle.

L’attività di Gori è concentrata soprattutto a Tor Sapienza, dove vive e gestisce il centro culturale Giorgio Morandi.

carlinogori
Carlo Gori al lavoro

Ma le sue opere sono presenti in moltissime periferie romane.

«Il murale ‘facce da mercato’ rappresenta il mercatino rionale, la sua vivacità, la ricchezza dei volti. Siamo in tanti e siamo tutti vicini, attaccati gli uni agli altri – dice Carlo – Eppure abbiamo un’identità individuale forte, anche quando siamo una folla. Non siamo per niente uguali gli uni agli altri!».

Da lontano l’opera pare un intreccio compatto e informe, se lo si osserva bene da vicino si distinguono le  espressioni del volto di uomini e donne in carne ed ossa.

«Ci sono i lavoratori notturni che tornavano dalle loro attività, i volti asiatici degli ambulanti bengalesi che montavano i banchetti del mercato alle cinque del mattino».

Non manca il volto della proprietaria del Lady bar, Silvia Anedda e della sua famiglia; quelli dei passanti, le facce storiche del quartiere.

ladybaretto

«Quando hai un flusso creativo – spiega ancora Carlo, che è direttore artistico di Pinacci Nostri e uno degli attivatori del MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove sulla Prenestina – tu sei dentro il processo, sei come in una sorta di trance. Dunque, tante delle persone che ho disegnato non le ricordo esattamente, però di alcuni soggetti sono obbligato a ricordarmi: per esempio il cane di una ragazza del quartiere, in compagnia di due piccioni».

Carlo Gori ha lavorato di continuo per tre mesi, dalle otto di sera fino all’apertura del mercato. E poi la domenica pomeriggio.

«Mentre lui disegnava – ricorda Silvia Anedda – noi cercavamo di dargli tutto il supporto possibile e anche tanto caffè!».

Il padre di Silvia arrivava al lavoro qualche volta alle quattro del mattino: «alle sei mi avevano portato l’ennesimo caffè». Poi, piano, piano, mentre il mercato si animava, Carlo finiva la sua nottata di lavoro e se ne tornava a casa, dall’altra parte di Roma.

Ovviamente la scelta di quest’angolo di via Boccea non è casuale.

gallipinaccijpg

«Il mercatino rionale è prezioso ma sempre un po’ a rischio chiusura: noi invece vorremmo che rimanesse qui dov’è e che fosse vivo anche la sera, che i locali avessero una programmazione culturale – dice Carlo – La street art è in realtà una scusa ma anche uno stimolo per tirare fuori le migliori energie del quartiere».

Durante i mesi di lavoro l’artista arrivava sul posto già alle cinque del pomeriggio «perché me lo dovevo studiare bene –dice – . Guardavo la gente nei dintorni, sceglievo i colori e quando chiudevano i negozi lavoravo veramente».

annarellapinacci

Negli ultimi tre anni il quartiere è cambiato tanto e non solo per via delle opere colorate, ma anche perché c’è un’anima che sta riallacciando i fili, che mette assieme le persone. Pian piano si ricostruisce la trama storica (la continuità con Primavalle, le vie dei Papi, la presenza della chiesa).

E tutto questo da quando Lello Melchionda, ideatore di “Pinacci Nostri”, ha iniziato a coinvolgere gli artisti nella mega impresa. Un progetto dal basso, autofinanziato, che ha il merito d’aver ricostruito tramite il disegno le vicende di un pezzo di Roma che un tempo era aperta campagna e di aver riportato la gente in piazza.

«Siamo partiti dal Parco del Pineto (Pineta Sacchetti, ndr) tre anni fa con la realizzazione di murales nel verde, per poi allargarci a tutto il quartiere – dice ancora Gori – Ora siamo ad oltre 60 lavori che hanno come obiettivo comune raccontare un pezzo di storia o essere in relazione con i personaggi che lo hanno abitato.  pinacci

L’idea ha una forte caratterizzazione popolare e pedagogica, con lo scopo tra l’altro di recuperare informazioni, perché questo sembrava un quartiere senza storia e invece ne ha eccome!».

Tutto ha inizio quando Lello, avellinese, da poco approdato con la moglie a Roma, incontra Maurizio Mequio, artista che promuoveva un altro bel progetto, Muracci Nostri, street art a Primavalle.

«Lo incontro a via Borromeo a reggere la scala a Flavio Solo che dipinge la sua wonder woman – racconta Lello – ‘Piacere, piacere, che fate? Accompagnami a portare sta scala che pesa che te lo spiego: questa è la street art, questa è Ingrid Bergman, questa è Primavalle’. Capirai due più due fa quattro! C’è chi può raccontarmi la storia di Pineta Sacchetti (quelli del gruppo facebook) e chi ha praticamente lanciato l’idea su come rappresentarla: disegnando sui muri».

Non è stato facile all’inizio trovare gli spazi e ottenere i permessi, venire accettati come artisti.

PINACCINEWS

«Dovevamo chiedere il favore di poter utilizzare i muri: il primo è stato quello di via Calisto II che ora presenta una decina di opere – spiega Gori – Lo abbiamo chiesto alle suore e all’inizio non ce lo volevano dare.

Abbiamo contattato il loro ordine in Francia e ce l’abbiamo fatta. Mettevamo in giro dei bussolotti, dove la gente poteva lasciare ciò che voleva. In via Calisto II ho lavorato col pennellino piccolissimo per mesi. La funzione era interagire con le persone del posto. Perché conoscessero il progetto, cogliessero le sfumature, e così abbiamo incontrato molti altri artisti del quartiere che si sono uniti a noi».

La squadra adesso è corposa: una ventina di street artist, ognuno con la sua tecnica e la sua poetica.

 

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Maria Ilaria De Bonis

Maria Ilaria De Bonis

Giornalista professionista, mi sono occupata di economia e finanza in passato. Ora scrivo di Medio Oriente, Africa, povertà. Io B-hop perché «ho voglia di raccontare la forza, l'energia e il riscatto. La sana ribellione di chi ogni volta rinasce. E fa più bello il mondo».

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