(di Rinaldo Felli) – Cambiamo abitudini. E’ l’impegno che ogni inizio anno, ciascuno di noi, si ripete e ripete incessantemente ai propri cari, ai parenti, agli amici vicini ed anche a quelli lontani.
“Anno nuovo vita nuova”, scagli pure il macigno chi non ha proferito con sicumera, orgoglio e fierezza la fatidica frase almeno una volta nella vita.
Proferita peraltro con la totale consapevolezza che, a distanza di qualche mese, di quella promessa sarebbe rimasta una ben fievole traccia. Proprio questo banale motivo ci spinge ad immaginare che ritardare l’Overshoot day cercando di convincere gli abitanti del pianeta a cambiare radicalmente il proprio stile di vita sarebbe estremamente difficile.
L’Overshoot day 2019, il giorno nel quale l’umanità ha consumato interamente le risorse prodotte del pianeta, è caduto il 29 luglio, quattro giorni prima rispetto al 2018.
Nel 1970, anno nel quale l’organizzazione internazionale no profit Global Footprint Network ha iniziato a calcolare il sovrasfruttamento, l’overshoot era il 29 dicembre.
Insomma, all’epoca, gli abitanti del pianeta dovevano sviluppare un forte senso di colpa esclusivamente a causa del tradizionale cenone di Capodanno.
Purtroppo, in particolar modo, negli ultimi 20 anni il rapporto tra biocapacità (la quantità di risorse ecologiche che la terra riesce a generare in un anno) e l’impronta ecologica (la domanda di risorse per quell’anno) è drammaticamente peggiorato: nel 1999 i titoli di coda arrivavano all’inizio di ottobre ed ora ben due mesi prima.
Oggi viviamo come se avessimo 1,75 pianeti a disposizione ed in Italia riusciamo a fare anche peggio: il 15 maggio 2019 il Paese aveva già consumato tutto, vale a dire che noi avremmo bisogno di almeno 2,72 pianeti.
Purtroppo, come possiamo vedere nell’immagine, c’è anche chi fa molto peggio di noi.
E’ come se una famiglia spendesse tutto il reddito di un anno nei primi 6/7 mesi per poi continuare a gozzovigliare allegramente accumulando debiti da lasciare ai figli, ai nipoti e forse anche ai pronipoti.
Stiamo rubando capitale naturale alle prossime generazioni, lo stiamo facendo mettendo a repentaglio la loro sicurezza alimentare, attraverso la deforestazione, l’utilizzo sconsiderato del suolo, la perdita della biodiversità, l’accumulo di CO2 con i conseguenti cambiamenti climatici che a loro volta mettono a repentaglio la produzione di cibo.
Urge interrompere questo circolo vizioso, nefasto. Ma quale strada intraprendere per raggiungere l’obiettivo?
E’ possibile immaginare di sacrificare un pezzo di progresso per spostare la lancetta dell’overshoot in avanti?
Si può riuscire a convincere gli abitanti del pianeta a sostituire il 50% di carne con una dieta vegetariana per ridurre l’emissioni di metano degli allevamenti o convincerli ad abbandonare l’autovettura a favore di un salutare utilizzo della bicicletta?
Come abbiamo esplicitato nella premessa cambiare le abitudini radicalmente e rapidamente appare difficile. Ma nonostante ciò forse oggi la battaglia grazie alla scienza ed alla politica potrebbe essere vinta.
Pensiamo per esempio a quanti nuovi materiali maggiormente sostenibili ci fornisce oggi la scienza. Ne citiamo uno su tutti, quello maggiormente disruptive: il grafene.
Materiale prodotto in laboratorio sottile, leggero, trasparente ma anche 200 volte più resistente dell’acciaio e più efficace del rame nella conduzione elettrica.
Grazie a queste proprietà avremo a disposizione vetture e velivoli più resistenti ma anche leggerissimi e quindi in grado di consumare meno carburante.
Attraverso la sua estrema flessibilità e capacità di immagazzinare grandi quantità di energia si realizzeranno abiti in grado di sfruttare il movimento del corpo umano per accumulare energia.
Attualmente viene già utilizzato, insieme alla plastica riciclata, per asfaltare le strade con una capacità di resistenza superiore del 250 % rispetto a quello tradizionale e quindi in grado di ottenere un notevole risparmio di idrocarburi (bitume). Inoltre, certificato dal Ministero dell’Ambiente, si utilizza un prodotto a base di grafene in grado di assorbire oli, idrocarburi ed altri inquinanti.
Ma il grafene è solo il caso più spettacolare, la scienza oggi ci fornisce non solo centinaia di nuovi materiali in grado di contribuire ad una gestione sempre più efficiente dei cicli dell’energia, dell’acqua e delle risorse naturali ma anche innovative tecniche ecologiche nel campo agricolo e nella filiera produttiva dell’alimentazione.
In questo contesto
è auspicabile che la politica s’introduca, agisca, sfruttando l’innovazione scientifica per sviluppare un’economia quanto più possibile circolare,
sostenendo tutte quelle iniziative volte a minimizzare l’uso di energia, di acqua e a ridurre scarti nonché sprechi.
Lo vogliono Greta Thumberg e tutti i giovani che da mesi, ogni venerdì, scendono nelle piazze per manifestare la loro preoccupazione.
Lo richiedono le sempre più frequenti crisi climatiche con conseguenti tragiche catastrofi, lo urlano i milioni di bambini che continuano a morire per scarsa alimentazione o per disidratazione.
Ma c’è una novità, una bella notizia. La politica sembra ascoltare, sembra essersi resa conto della necessità e dell’urgenza di un intervento. Pensiamo alla promessa dell’Unione europea di investire 500 miliardi di euro nel settore; alla Cina che inizia ad accorgersi dei danni ambientali prodotti.
Attendiamo quindi che le parole si trasformino in atti concreti e rapidi, il tempo è scaduto e l’Overshoot day n’è una prova.
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