“Si può vivere in maniera sobria senza farsi mancare nulla. L’anno scorso ad agosto, ad esempio, in 20 persone abbiamo vissuto più di 10 giorni senza frigo: non ne abbiamo sentito la minima necessità, aiutati anche dal fatto che siamo vegetariani tendenti al vegano. Non bevendo latte a quel punto il frigo diventava quasi superfluo. Cucinavamo con la rocket stufa, che abbiamo costruito con argilla, paglia e tufi. D’estate abbiamo creato una doccia che, tramite una serie di tubi neri che si scaldano al sole, ci fornisce acqua calda: qui ognuno mette a frutto le proprie conoscenze”. A parlare è Laura Raduta, una delle fondatrici dell’“Ecovillaggio a pedali”, nato qualche anno fa tra le colline di Torri in Sabina, a 60 chilometri da Roma.
“A pedali” perché “pedalare significa farcela con le proprie forze – spiega Laura -, andare piano. Per rimanere in equilibrio bisogna sempre pedalare e stare alla sua ricerca. Pedalando si può godere del percorso, che è più importante della meta”. Così ci racconta la filosofia di fondo e come è organizzata la vita all’interno della comunità, che punta all’indipendenza economica basandosi sul principio dell’autosufficienza energetica ed alimentare. Sulla pagina Facebook si presentano come “un gruppo di amici, di tutte le età, che si confrontano da più di un anno per costruire fisicamente ma soprattutto spiritualmente una comunità”. Ad oggi sono presenti più di 35 ecovillaggi nel nostro Paese, come risulta dai dati della RIVE (Rete italiana villaggi ecologici).
Perché la scelta di creare un ecovillaggio? Come siete organizzati?
“In casa attualmente siamo due persone, negli ultimi mesi si sono aggiunte altre due coppie. Per ‘Ecovillaggio’ s’intende una comunità formata almeno da cinque adulti non legati da parentela, che condividono gli stessi ideali e lo stesso spazio di lavoro. La parola ‘eco’ si rifà appunto a ecologia, perché l’ambiente siamo noi. Vogliamo recuperare stili di rapporti diversi da quelli proposti dall’attuale società. Noi proponiamo il metodo del consenso: non esistono piramidi ma semplicemente il confronto, la parità fra i membri. Non c’è l’anziano o il meno anziano, tutti si riuniscono in cerchio e ognuno mette un po’ del suo. Tutto questo richiede tanto lavoro, soprattutto su se stessi. Di solito le idee non pensate sono quelle che riescono meglio”.
Quindi credete nella decrescita e nel ritorno alla terra…
“Uno dei motivi che ci ha spinto a compiere questa scelta è cercare di mettere in pratica la cosiddetta ‘decrescita felice volontaria’, cioè scegliere sulla base di principi ideologici anziché economici. Il ritorno alla terra è quindi indispensabile se uno si vuole riappropriare della propria vita. Nel nostro caso diviene fondamentale l’autoproduzione di cibo, in quanto necessario tutti i giorni. Secondo il nostro punto di vista, mangiare il lavoro di altri che magari sono sfruttati, e che non conosci, oppure utilizzare risorse di altri Paesi è come mangiare qualcosa che non è tuo”.
Sul vostro sito si parla di “Quaderno degli ideali” e Regolamento della casa. Di che si tratta?
“Abbiamo scritto il ‘Quaderno degli ideali’ poco prima di prendere questa casa e la terra in affitto: perché per vivere insieme ad altre persone si ha bisogno di regole, sia scritte che non scritte. Scriverle sicuramente aiuta. E poiché siamo nonviolenti, è meglio scriverle. Questo non significa che è bibbia: se un componente sente l’esigenza di cambiarle si rimette tutto in discussione, e si arriva a un’altra decisione. Sono semplicemente regole del buon vivere, nello specifico il ‘Quaderno degli ideali’ è molto generale, comprende tutti gli ambiti della vita in comune. Mentre il Regolamento è più specifico in quanto ci aiuta nella gestione degli spazi di lavoro all’interno della nostra casa”.
I vostri ideali potrebbero accomunarvi alle comuni degli anni ’70?
“Personalmente non le conosco, perché sono giovane. Però altre persone, che fanno parte di questo progetto e le hanno vissute, riportano ricordi non belli, poiché secondo loro seguivano la moda del momento, vissute più sull’onda dell’emotività che sulla base di una scelta di vita radicale. Anche oggi molti ecovillaggi sono legati a qualche guru. Personalmente l’ho sperimentato andando a visitare una comune in India qualche anno fa, dove c’era anche un tempio per pregare. Noi abbiamo scelto, nello specifico, di essere laici. Avere un guru o credere in Dio o alla chiesa semplifica le cose, poiché aiuta molto la comunità a superare le difficoltà. Essere laici, ossia mentalmente indipendenti, rende le cose molto più difficili: ma una volta che si è raggiunto un equilibrio fra i singoli, allora anche la comunità diventa più solida. Ci tengo a sottolineare che questa è una mia personalissima opinione, scorporata da qualsiasi tipo di giudizio: ogni comunità è libera di scegliere ciò che è meglio per la sua sopravvivenza”.
Quali sono i prossimi obiettivi che si propone di raggiungere la comunità?
“Crescere come comunità e trovare sempre più persone che condividano i nostri ideali: questo è stato e sarà il filo conduttore della nostra comune. E poi trovare un terreno tutto nostro, poiché questa casa è un luogo temporaneo, siamo in affitto. Cerchiamo sempre in Sabina, perché siamo a pochi chilometri da Roma e i costi sono più bassi”.
L’ecovillaggio potrebbe essere una soluzione per chi spera in un futuro migliore?
“Sì, potrebbe essere una soluzione. Attualmente lo è per centinaia di persone in Italia. Ogni comune – da quella più piccola a quelle più grandi – è diversa dalle altre. Anche se esistono caratteristiche da cui non si può prescindere: ad esempio, il metodo del consenso, l’economicità della vita, il puntare molto sulle relazioni umane e sull’agricoltura. Poi, però, ogni esperienza è a sé. Sono tutte bellissime, perché s’impara molto da esse. Non a caso la RIVE ha organizzato dal 24 al 27 luglio 2014 nella comunità di Bagnaia in provincia di Siena una festa aperta a tutti per far conoscere questa comunità laica, che sopravvive in Italia da ben 35 anni. Nella comune di Bagnaia non esiste proprietà privata, c’è un’economia comunitaria, tutto viene condiviso, anche gli stipendi di coloro che lavorano al di fuori. Ci sono delle regole, per esempio vengono forniti 200 euro al mese per le spese personali”.
La natura vuole ancora riconciliarsi con l’uomo dopo tutto quello che le abbiamo fatto subire?
“Il problema esiste quando nascono dicotomie. Tra il pensarci fuori dalla natura, e il riconoscerci in essa, che non è altro che noi stessi. Quindi una volta che ci siamo riconciliati con noi stessi ci siamo riconciliati anche con la natura. Tutti i problemi nascono perché abbiamo pensato di essere al di sopra di essa, ossia la consideriamo altro da noi e iniziamo a sfruttarla. Tutto ciò nel mondo orientale non accade perché l’uomo è natura, quindi non esiste diversità. È come il proprio pezzetto di terra: se sei consapevole che ti da dà mangiare, allora non lo sfrutti, altrimenti fai l’errore di considerarlo diverso da te”.
articolo redatto in collaborazione con Nicola Perrone