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Home Buenvivir

Storie di rinascita in una graphic novel sui ragazzi rifugiati nel Kurdistan iracheno

di Maria Ilaria De Bonis
5 Marzo 2018
in Buenvivir, Primo Piano
Tempo di Lettura: 4 mins read
39 2
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(di Maralis) – Il 28 giugno del 2016 il fumettista Claudio Calia parte dall’aeroporto di Bologna per raggiungere il Kurdistan iracheno. La sua è una missione speciale: tenere dei workshop di fumetto in tre città curde ai ragazzi rifugiati dei centri giovanili gestiti dalla onlus Un Ponte per… E allo stesso tempo disegnare quello che vede, raccontando storie di vita e di guerra.

Nasce così Kurdistan, Dispacci dal fronte iracheno, una graphic novel (edita da Becco Giallo) che pur riflettendo il dramma dei profughi in fuga dall’Isis, è in realtà un inno all’umanità perduta e ritrovata. 

“Le persone che racconto nel mio libro sono le stesse con le quali chatto in facebook – spiega Calia – E’ un mondo lontano il Kurdistan, ma non così tanto. Con l’immaginario quei ragazzi sono andati oltre i confini”.

Hanno imparato a maneggiare un genere per loro abbastanza insolito e talvolta sconosciuto.

“Le persone che avevo davanti non sapevano cosa fosse il fumetto – spiega Claudio – ma erano davvero molto dentro la contemporaneità, scaricavano i film dai pc”.

Amavano l’arte ed erano creative. Quando i volontari della onlus, a distanza di un anno, sono ritornati ad Erbil con il libro di Claudio in mano e i ragazzi si sono riconosciuti in quelle strisce, la loro sorpresa è stata enorme.

E la gioia infinita. Quello di Calia è stato un viaggio in quattro tappe: Erbil, Dohuk, ancora Erbil e infine Suleymanya.

Oltre agli ospiti dei centri giovanili ha incontrato attivisti, volontari, preti, cooperanti, le famiglie.

Attraverso il disegno, che non è mai drammatico ma riesce perfino qualche volta ad essere comico, il colpo d’occhio su una realtà tanto frastagliata è potente. La graphic novel arriva dove non arrivano certi saggi politici, e spesso neanche i reportage giornalistici, se si fanno troppo complicati.

“Mi chiamo Sami, ho 22 anni e vengo da Mosul. Sono fuggito dopo essere stato minacciato di morte. Sono a Erbil da 2 anni e sei mesi. Ero un calciatore, quando sono arrivato ho giocato qualche mese con la squadra giovanile della città”, racconta uno dei personaggi, in una delle strisce dove si  parla dello Youth Center di Erbil.

Questo è un libro di volti. Puliti, essenziali. Diretti. E’ un libro che narra la rinascita attraverso la cooperazione e la volontà delle persone di reagire alla guerra facendo gesti di pace.

L’incipit di Calia, dopo aver raccontato la prima disavventura in aeroporto a Istanbul, dove è in corso un attentato, è: “Finalmente faccio quello che sono venuto a fare: oggi sei ore di corso intensivo di fumetto allo Youth center di Erbil . Dal talento e la voglia di fare cui ho assistito qui, sono senz’altro io quello che ha imparato di più”.

“Quando eravamo in Siria mia figlia diceva che da grande voleva fare la dottoressa”, racconta in una delle strisce, Ahmad, profugo siriano responsabile dei progetti di Un Ponte per…per il sostegno ai rifugiati di Domuz I, a Dohurk. “Ma quando siamo arrivati qui tutto è cambiato. E’ difficile per le persone abituarsi a vivere in tenda; difficile per le famiglie”.

Il fumetto ci rimanda una visione intima e personale di una guerra che è fatta di microstorie. Quello stesso Iraq smembrato, minacciato e occupato, è anche la terra che dà ospitalità a chi scappa dalla Siria o dal resto dell’Iraq, sotto scacco dei terroristi.

Il lavoro di Calia è tutto dalla parte delle vittime: lui ammette di non aver voluto studiare troppo la situazione geopolitica prima di partire. “Per poter essere un testimone vero, un osservatore neutrale”.

Un Ponte Per…, che lo ha coinvolto nel progetto, è una organizzazione per la solidarietà internazionale nata nel 1991 durante la Guerra del Golfo. Oggi opera in Medio Oriente, nei Balcani e in Italia per prevenire nuovi conflitti e promuovere la solidarietà tra i popoli.

 

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Maria Ilaria De Bonis

Maria Ilaria De Bonis

Giornalista professionista, mi sono occupata di economia e finanza in passato. Ora scrivo di Medio Oriente, Africa, povertà. Io B-hop perché «ho voglia di raccontare la forza, l'energia e il riscatto. La sana ribellione di chi ogni volta rinasce. E fa più bello il mondo».

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