Autunno, tempo di raccolta dell’uva e di vendemmia. Sono pochi, purtroppo, quelli che hanno ancora il privilegio di vivere questa esperienza in prima persona. Che è una semplice ma profonda lezione di vita – come tante altre legate al rapporto con la natura e con la terra – per capire come funziona oggi la nostra società post moderna. E come funzioniamo noi. Perché da una società agricola una volta basata sulla condivisione e sulla solidarietà oggi ci ritroviamo, in gran parte, chiusi nei nostri mondi egoici ed invidualisti.
Eccola, l’uva matura e dolce, quest’anno resa ancora zuccherina da lunghi mesi di siccità. E’ pronta, spicca tra i tralci di vite e aspetta solo di essere colta.
In famiglia sono tutti ingaggiati per l’impresa: si coinvolgono gli amici, mentre i filari delle viti si animano di bambini, giovani, adulti e anziani. Guanti di lattice, forbici e secchio sono gli attrezzi del mestiere per il compito più facile: tagliare i grappoli e raccoglierli nei secchi, da riversare poi in contenitori più grandi.
Le ore scorrono allegre e ridanciane tra le viti. Qualcuno può essere punto da una vespa, ma si corre subito ai ripari con pomate emollienti. Le donne, ad una certa ora, si allontano per preparare il pranzo. Pasta, salsicce alle brace, affettati, pizza, dolce, caffè. I volti sono arrossati dal tiepido sole autunnale e da un po’ di stanchezza ma il vino dell’anno prima regala una leggera e piacevole ebbrezza.
La pesantezza post-prandiale si supera con il movimento. Se l’uva è raccolta a sufficienza gli uomini possono iniziare a darsi da fare per preparare il vino: si svuotano i grossi contenitori neri nella pigiatrice, i grappoli d’uva vengano pressati una prima volta per poi essere trasferiti nel torchio, da cui uscirà il mosto. L’assaggio è d’obbligo, il dolce succo d’uva piace a tutti, figurarsi ai bambini.
Il mosto viene poi trasferito nelle botti o in capienti contenitori appositi, dove rimarrà fino a maturazione.
Rimangono le bucce e i raspi, cosiddette vinacce, che si buttano o utilizzano per fare la grappa o l’acquavite.

La lezione semplice ma profonda che rimane impressa è la fluidità della condivisione, convivialità e la viva e sincera solidarietà che si crea. Ognuno trova naturalmente il suo ruolo e il suo posto all’interno di un lavoro per un obiettivo comune.
Tutti si aiutano, nessuno è in competizione. Si crea un flusso di energia positiva che rende l’atmosfera frizzantina, a fronte della realizzazione di un bene – il vino – che porterà implicito in sé anche la dedizione e la motivazione condivisa.
La società rurale una volta era abituata a condividere momenti così, scanditi dai ritmi della natura: la mietitura del grano, la vendemmia, le passate di pomodori, la raccolta delle olive. Oggi nei paesi, soprattutto nel Meridione, qualcuno ancora persevera nelle tradizioni. E fa bene.
In queste occasioni si comprende quanto sia invece innaturale una vita trascorsa davanti ad un computer, correndo freneticamente tra l’asfalto e le lamiere di una città, chiusi dentro i propri schemi mentali oppure – peggio – offuscati da schermi di telefonini, tablet e televisori.
Così, mi pare, si produce l’individualismo.
Ogni tanto vivere momenti come questi ci aiuta a ritrovare le nostre radici e capire quanto sia importante ascoltare la Terra.

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