(di Daniela Maurizi) – C’è informazione e informazione. C’è l’informazione come strategia della tensione e l’informazione come strategia d’azione. B-hop magazine rappresenta la seconda opzione, un notiziario di belle notizie. Non buonista, ma funzionale alla crescita personale e collettiva.
Certo, la parola “crescita” in tempi di decrescita (infelice) richiama una lunga lista di concetti quali: azione, responsabilità personale, coraggio, rischio, fiducia, speranza, costruzione, creatività, resistenza, autonomia, consapevolezza, ricerca di soluzioni… valori sepolti da tempo nell’immobilismo funzionale a un sistema che vive e impera sul meccanismo della paura. Frutto di una rappresentazione sociale di cui la comunicazione massmediatica troppo spesso si fa portavoce.
Ma com’è noto, i media svolgono da sempre un ruolo cruciale nella sociologia della paura, e tentare di ripensare nuovi modi di comunicare e fare informazione, volti a edificare piuttosto che minare le coscienze – e di conseguenza la percezione della realtà – è un atto di responsabilità e una sfida.
Una sfida che l’ideatrice e direttrice responsabile di B-hop, Patrizia Caiffa, ha deciso di affrontare. Giornalista professionista, da anni in prima linea in aree di emergenza umanitaria e sociale soprattutto nei Paesi del Sud del mondo, Caiffa non è giunta disarmata a riformulare il suo modello di informazione.
Ma nell’attuale contesto sociale, dominato dall’indeterminatezza della rete, dove il confine fra comunicazione e informazione è sempre più labile, da quali nuovi paradigmi ripartire per ridefinire il ruolo e le finalità dell’informazione?
Basterebbe guardare al modello della biologia molecolare e genetica per riscoprire il vero scopo dell’informazione: quello di essere convertita in un’entità funzionale alla vita. Questo parallelo metaforico ben rappresenta, a mio avviso, il fondamento dell’orientamento editoriale e culturale di B-hop.
L’attenzione posta da Caiffa alla parola che crea anziché distruggere, non è forse erede di quel biblico Verbo che principia ogni cosa, parola creatrice che in-forma, veicolando l’informazione che sottende i processi genetici e l’origine della vita? In tale prospettiva, tutto sembra confermare il vecchio adagio secondo cui “l’amore è informazione”, e la no profit e volontaristica B-hop ne è un’ulteriore conferma.
Proseguendo il discorso sul piano meta-fisico, scopriamo che l’informazione non è un concetto poi tanto astratto, ma qualcosa che garantisce il coordinato funzionamento delle parti, e se viene persa porta a gravi alterazioni all’interno del sistema, vivente o sociale che sia. Alterazioni caotiche che non possono più essere sanate dall’interno.
Per analogia, guardando all’attuale confusione mediatica, si è tentati di pensare che lo scopo dei sistemi del mondo sia proprio quello di indurre caos a fini di controllo sociale. E il caos è una conseguenza della separazione indotta anche da un’informazione manipolata a servizio della paura. Un’emozione che, se strumentalizzata, arriva a dividere popoli e comunità, innescando meccanismi vittimari tesi alla ricerca di colpevoli immaginari e capri espiatori per ristabilire un ordine e una coesione solo apparenti.
B-hop si sottrae a questo troppo facile, quanto mortifero, gioco.
E staccandosi dal coro dei consensi e delle menzogne, persegue la propria rotta con la sua ciurma di volontari portatori di “belle” notizie. Qui il rimando alla metafora evangelica della “buona novella” è quasi scontato, ma le notizie di B-hop non sono sempre belle in sé, quanto piuttosto è “bella” (leggi “sana”) la prospettiva nella quale vengono presentate: una prospettiva costruttiva, non di resa ma semmai di ripresa.
E ciò non è poco, se consideriamo che la principale conseguenza della paura è l’annichilimento di quei valori che garantiscono l’equilibrio e l’armonia della convivenza civile: fiducia, tolleranza, apertura, oramai sostituiti da diffidenza, intolleranza, chiusura, da cui consegue una richiesta di maggiore sicurezza, con le sue possibili derive autoritarie di controllo sociale.
E come ci ricorda il sociologo Barry Glassne: “Attraverso la politica della paura, i politici vendono sé stessi agli elettori, le associazioni vendono iscrizioni, i ciarlatani vendono trattamenti, gli avvocati vendono class-actions, le multinazionali vendono prodotti, le tv e i giornali vendono i loro contenuti a telespettatori e lettori”.
Rispetto a questo scenario,
B-hop non vuole vendere niente, ma piuttosto offrire ai suoi lettori una visione nuova della realtà,
in netta controtendenza con le attuali politiche editoriali, sempre più ispirate ai codici della pubblicità e dello spettacolo che fanno leva su istinti ed emozioni, poiché (come citava Gustave Le Bon) “Conoscere l’arte di impressionare le folle, significa dominarle”.
E al dominio delle folle, B-hop contrappone e rilancia l‘autonomia dei soggetti, puntando i riflettori su quelle esperienze umane e comunitarie che hanno tratto spunto e forza
da uno stato di crisi per reinventare un’esistenza nuova, alternativa, sottratta all’omologazione degli stili di vita e più fedele al proprio sé.
Qui l’uso del linguaggio come descrizione del mondo, cede il passo alla concezione del linguaggio come azione (per dirla alla Austin), o spinta all’azione, che riconfigura l’idea di un essere umano ancora capace di agire e costruire il proprio destino e la propria storia, superando, come ci ricorda Nelson Mandela, “la paura di essere potenti oltre misura”.
Questa, in sostanza, è la risposta di B-hop all’attuale crisi dell’idea di essere umano come artefice del proprio destino. Problematica messa a fuoco dal sociologo Frank Furedi, che propone come antidoto al fenomeno due parole chiave: “coraggio e propensione al rischio” (fra i primi bersagli della strategia della paura).
In questi due ultimi concetti, ravviso un’ulteriore analogia con lo spirito e i contenuti di B-hop. Dietro le esperienze che il magazine documenta,
vi è il coraggio di rischiare e fare un balzo in avanti, un salto esistenziale che è quasi sempre un salto nel buio,
emblematicamente rappresentato dal logo di B-hop: un anfibio colto nell’istante del salto, simbolo di uno scatto evolutivo di qualità nel modo di percepire e vivere le cose, facendo ricorso a tutto il proprio potenziale creativo per cambiare la realtà, cominciando da sé stessi.
In sostanza, quello di B-hop si può definire un autentico giornalismo etico, secondo cui
informare significa anzi tutto stimolare un nuovo agire sulla realtà,
capace di andare oltre le logiche della sopravvivenza, della paura, del conformismo e del conseguente controllo. Un giornalismo che, lungi dal voler educare, stimola implicitamente una domanda:
“e tu, sei pronto al cambiamento?”