di Daniele Poto – Nella top ten delle dieci parole più cliccate del 2021 ci sono resilienza e sostenibilità. Segnalano un’umanità aggrappata a un’indomita voglia di sopravvivenza, indicano la sofferenza rispetto al Covid, al cambiamento climatico, ora a un conflitto europeo a regime da più di tre mesi.
Il mondo globale sembra aver preso atto che lo spreco è forse una delle più grandi forme di dissipazione del vivere contemporaneo.
Ci sono cifre che forse sfuggono alla nostra dimensione occidentale. Ma non può non colpirci un dato: al mondo 811 milioni di persone (rapporto Onu al luglio 2021) non hanno cibo sufficiente per un vivere dignitoso, per un apporto calorico minimo.
Ovviamente una gran percentuale di questo universo in difficoltà risiede in Africa e riassume una popolazione che quasi eguaglia quella del vecchio continente europeo. Il nostro eurocentrismo deve fare i conti con questa proporzione.
Ci suona ragionevole l’affermazione che non si può essere felici in un luogo se quello è popolato da un solo essere infelice.
Ragionamento che ben si sposa a una globalizzazione che è anche economica, alimentare, ecologica visto che lo scioglimento di un ghiacciaio in Argentina o la deforestazione amazzonica hanno riflessi a lungo raggio anche sulle nostre superfici occidentali.
A fronte di questi ragionamenti una contraddizione massiva si oppone e va in direzione esattamente contraria.
Nel 2018 la Fao calcolava che lo spreco alimentare potesse essere valutato nella misura del 30% rispetto alle risorse a disposizione.
Ma in Italia la valutazione di questa anomalia ha portato a contro rimedi efficaci.
Ad esempio il cibo raccolto dal Banco Alimentare sostiene ben 7.500 strutture caritative in Italia. Vuol dire supportare un milione e mezzo di persone che probabilmente versano in uno stato di povertà assoluta, fruendo di una rete di 1934 volontari.

Ci sono meccanismi collaudati e ormai perfettamente rodati. Chi cerca sconti nei supermercati trova prodotti in scadenza al 50% e quelli invenduti vengono introdotti in un circuito di gratuità con la Caritas che ricopre un ruolo considerevole.
Si sono adeguati anche i ristoranti. O le pizzerie a taglio, molto diffuse nella capitale. Solidarietà del regalo molto naturale, diremo quasi inevitabile in tempi difficili.
Cibo regalato equivale a cibo salvato, la negazione del cibo sprecato.
Un salvataggio parzialmente sommerso ma palese che si accompagna alle mense dei poveri, all’attività di sostegno del Binario 95 che agisce a Roma in prossimità della Stazione Termini, snodo di tante manifeste povertà.
Un’azione analoga viene assolta dai mercati rionali secondo la logica non miope dell’utilizzo di un cibo che andrebbe verso la deperibilità se non prontamente utilizzato (vedi soprattutto i prodotti ittici).
Il centro di raccolta della Comunità di Sant’Egidio a Ostiense raccoglie scatolame a lungo scadenza oltre a vestiti di riciclo di tutte le taglie e fogge.
Si può dire che in Italia si sia sviluppata una mentalità che è anche di autodifesa rispetto alle situazioni precarie.
Globalizzazione in senso positivo è anche comprensione di logiche di autodifesa di una società insidiata dalla povertà.
Un esempio su tutti: se non ci occupiamo dell’Africa, colpevolmente trascurata da secoli se non per interessi para-coloniali, sarà l’Africa a occuparsi di noi.
E’ un ragionamento che può accomunare tutti, persino chi vede con raccapriccio la contiguità crescente con il popolo migrante.
Non è un caso se tra i Paesi più affamati del mondo secondo i ricercatori dell IFPRI (Internazional Food Policy Research Institute) ci siano Burundi e Sudan, marcati indelebilmente da una denutrizione descritta come endemica.
Nel mondo interessato da un sempiterno esodo la raccolta solidale di cibo da parte di sigle, cattoliche e non, conta sul generoso apporto dei privati.
Il pensiero positivo anti- spreco deve fare i conti con altre varianti. La siccità, il disseccamento della terra, il blocco dell’economia del grano (elemento primario) o dell’olio di semi di girasole la cui materia prima è ferma nei porti dell’Ucraina.
Il pianeta sembra ribellarsi a come è stato trattato per troppi anni ma una sensibilità diversa si sta affermando in Italia.
Oggi non è importante riempire i frigoriferi, farsi prendere dalla sindrome del’accaparramento di una gamma globale di prodotti (pratica molto in voga all’inizio del lockdown).
Comprare poco, comprare bene (di qualità), comprare il giusto e non consentire neanche uno spreco.
Ricordando che, metaforicamente, all’uscio di casa, ci tendono la mano milioni di poveri che non si sono scelti quella sorte e quel destino.