Per aiutarvi a scoprire nuove mète estive mentre già siete in viaggio o in vacanza, b-hop ripropone in questi giorni alcuni articoli già pubblicati, sperando possano esservi utili. Buona estate di relax, serenità, fiducia e bellezza!
(dalla nostra corrispondente ad Atene) – Megali Paraskevì, il grande venerdì. Pareskevì da parasceve, il giorno della preparazione. Ogni venerdì per gli ebrei è una preparazione, vigilia al riposo del sabato. Si preparano il pranzo e la cena necessari alla domenica perché il giorno dello shabbat Dio si è riposato e ha guardato indietro, compiacendosi, alla sua creazione. E i giorni di festa devono essere santificati. Terzo comandamento.
L’atmosfera che si respira ad Atene nel giorno della passione di Cristo è surreale; le strade e i kafenio solitamente brulicanti di gente sono perlopiù vuoti. Il sole di mezzogiorno di una nitidezza rinascimentale, quasi razionale per la perfezione con cui disegna ombre esatte, illumina le serrande abbassate dei tanti esercizi commerciali.
I negozi chiusi dalla crisi si mescolano così a quelli ancora attivi, tanto che per una volta le saracinesche metalliche calate a lutto diventano metafora complessiva di un giorno di festa concordata, desiderata. Il giorno della Passione di Cristo ripristina gli equilibri, riporta tutto all’essenziale.
Ai negozi chiusi, fanno da contraltare le tante chiese ortodosse aperte che risuonano di salmodie antiche intonate dai pope di turno. Canti incredibilmente simili alle litanie dei muezzin pronunciate dai minareti rendono chiara la natura profondamente orientale di una Grecia europeizzata a forza.
La Grecia e non la Turchia è la vera porta orientale d’Europa, paese a metà fra apollineo e dionisiaco, fra innovazione imposta e tradizione scelta. Al centro delle chiese domina la croce, simbolo universale di martirio, dietro cui compare un baldacchino fiorito che ospita un’icona della deposizione di Cristo. I tanti fedeli entrano alla spicciolata, chiacchierando, mettendosi in fila per salutare il re dei re. Si segnano la testa e il cuore con i rituali tre segni di croce, baciano l’icona e poi se vanno. In pochi restano dentro le chiese, giusto qualche anziana a cui ogni tanto squilla il cellulare. “Ne? Kronia pollà, Kristos anesti! Ti kanis?”, “Pronto? Tanti auguri, Cristo è risorto! Come stai?”. Non si percepisce un’atmosfera di contrizione, forse perché la Pasqua è una morte superata così come la Passione è un fotogramma necessario nella Storia della salvezza.
Arriva il sabato, ultimo giorno del triduo pasquale e mi dirigo verso Larissa. È una grande città nell’entroterra della Tessaglia, la terra dei centauri, ricco tavoliere verde e grasso della Grecia. La strada nazionale che parte da Atene si snoda per centinaia di chilometri in una landa disabitata, interamente rivestita di coltivazioni e campi di grano che la bella Ellada indossa come un cappotto all’ultima moda.
La monotonia verde viene interrotta ogni tanto da tristi paesini disabitati, resi vivi da sporadiche taverne che si affacciano lungo la strada dietro ai cui tavoli stanno seduti vecchi con la faccia mangiata dal sole. Hanno volti che sembrano antichi di millenni, visi segnati da una vita di caffè e sigarette, il cui fumo ha compiuto lo stesso effetto erosivo dell’acqua con le pietre. Il tabacco ha scavato negli anni solchi silenziosi, allo stesso modo del tempo che negli alberi si stratifica in cerchi concentrici. Guardandoli, i greci, assomigliano a umani alberi di carne.
È la notte di Pasqua, la cattedrale ortodossa di Larissa viene raggiunta da una folla di persone che si dirigono verso la chiesa velocemente, come tartarughe appena nate verso il mare. Nella piazza antistante si trova schierato l’esercito, armato di fucili per il saluto d’onore alle varie autorità cittadine che passano, ben vestite, per entrare nel tempio di Dio; ad accoglierli sulla porta il pope che gli fa strada verso il naos. La commistione fra Stato e Chiesa sancita dalla costituzione greca, emanata nel “nome della Santa, Consustanziale e Indivisibile Trinità” diventa finalmente chiara: Stato e Chiesa sono una cosa sola, e l’esercito il gregge armato di Dio che rende onore al Re martire. Sembra di essere a una festa di paese o meglio del Paese, che celebra la sua fondazione. Grecia, uno stato teocratico nel cuore dell’Europa.
È domenica e raggiungo le Meteore, enormi speroni rocciosi sormontati da antichissimi monasteri ortodossi. Sono rocce strane, sembrano argilla che Dio ha ciancicato un po’ con le mani per poi, stufo, lasciarla nel bel mezzo della Grecia passando ad un’altra creazione. Questo è il luogo, insieme al monte Athos, dove si concentra il misticismo della fede ortodossa, non a caso legato alla straordinaria natura del posto.
Meteora, dal greco metà tra, e aer aria,in mezzo all’aria, sospeso. Osservandole le Meteore sembrano la metafora perfetta dell’uomo e della Grecia che continua ad essere piegata dalla crisi che, anche a Pasqua non fa sconti. D’altronde la Pasqua dall’aramaico pasah, e dal greco pascha porta con sé il significato di passaggio, dell’andare oltre.
Sospeso in questo limbo fra terra e cielo che noi chiamiamo vita, l’uomo è costretto ad attraversare e vivere numerose “pasque”, passaggi, per poi giungere ad una liberazione. E la Grecia si trova nel pieno di questo cammino, sospesa fra un passato difficile e un futuro incerto, intrappolata fra passione e resurrezione, fra terra e cielo. Come una Meteora.