Per fare un salto nelle atmosfere “gattopardesche” di fine ‘800, e rivivere alcune scene di film famosi, non perdete l’occasione di visitare il meraviglioso castello di Donnafugata, a 15 km da Ragusa, nella torrida Sicilia meridionale.
Gli appassionati di cinema riconosceranno, girando per le venti stanze aperte ai visitatori (su un totale di 120), gli ambienti del film “I Viceré”, de “La stanza dello scirocco”, l’episodio del film Kaos dei fratelli Taviani tratto dal racconto di Pirandello“La giara” e il più recente, fiabesco e immaginifico “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone. La stupenda scena della regina che si perde nel labirinto giocando con il figlio tanto desiderato o quella dei due ragazzi che suggellano un patto di amicizia eterna sotto un ficus gigantesco da cui sgorga acqua, sono state girate proprio qui.
Per chi invece è più televisivo, e non perde un episodio del celebre Commissario Montalbano tratto dai romanzi del mitico Andrea Camilleri (che proprio ieri, 6 settembre, ha compiuto 90 anni), sarà curioso vedere dal vivo la terrazza del castello dove colui che ne incarna i gesti, Luca Zingaretti, ha festeggiato il suo matrimonio da fiaba con l’attrice Luisa Ranieri.
Il castello di Donnafugata, a circa 15 chilometri da Ragusa è visitato ogni anno da 65/70 mila persone e non smette di sorprendere ed affascinare. E’ una sontuosa dimora nobiliare del tardo ‘800, con un’ampia facciata in stile neogotico e due torri laterali.

Diverse sono le storie sull’origine del nome. Una leggenda narra che la regina Bianca di Navarra, vedova del re Martino I d’Aragona e reggente del regno di Sicilia, venne imprigionata nel castello dal conte Bernardo Cabrera, che aspirava alla sua mano e al titolo di re. Secondo altri il nome è la libera interpretazione e trascrizione del termine arabo Ayn al-Ṣiḥḥat (Fonte della Salute) che in siciliano diviene “Ronnafuata”.
In realtà la costruzione del castello è successiva alla leggenda. La prima costruzione sembra dovuta ai Chiaramonte, conti di Modica nel XIV secolo. Nel XV secolo potrebbe essere stata una delle residenze di Bernardo Cabrera, all’epoca gran giustiziere del Regno di Sicilia, ma difficile è il riscontro storico. La maggior parte della costruzione si deve però al discendente, il barone Corrado Arezzo de Spuches, eclettico uomo di studi e politico. L’edificio subì diversi passaggi di proprietà ed ampliamento, con anni di incuria ed abbandono. Nel 1982 venne finalmente acquistato dal Comune di Ragusa che lo ha ristrutturato e reso fruibile ai visitatori.

Gli arredi e i mobili sono originali, ogni stanza è arredata con gusto diverso e tutte colpiscono per la cura e la bellezza dei decori.
Nella stanza della musica ci sono, ad esempio, dei bei dipinti a trompe-l’oeil , nella sala degli stemmi spiccano i blasoni di tutte le famiglie nobili siciliane, lo splendido salone degli specchi è ornato da stucchi, nella pinacoteca vi sono quadri neoclassici della scuola di Luca Giordano.


Prima o dopo la visita del castello è d’obbligo una passeggiata nel parco, 8 ettari di giardino con ficus giganteschi, fontane, tempietti e grotte artificiali.

Magnifico e magico è il labirinto in pietra con muratura a secco, una copia di quello inglese di Hampton Court, vicino Londra. E’ una esperienza indimenticabile giocare a perdersi (in alcuni momenti sembra davvero di non riuscire a ritrovare l’uscita) e a ritrovarsi.
Curiosi (ma al momento non attivi) erano gli “scherzi” che il barone Corrado Arezzo faceva predisporre per non far annoiare i suoi ospiti: un sedile che nascondeva un irrigatore da azionare quando qualcuno ci si sedeva sopra; un monaco di pezza che appare all’improvviso in una cappella o delle tombe vuote per spaventare le donzelle e farle rifugiare tra le braccia amorose del barone burlone.

Usciti da questo mondo fiabesco, nel piazzale antistante, si ritrova tutta la Sicilia verace e genuina di oggi. Le brune vacche modicane che pascolano liberamente nella zona, il casaro casalingo che ne maneggia il latte per produrre davanti ai vostri occhi il famoso e pregiato formaggio ragusano, la distesa dei campi aridi e i profumi dei cibi buoni.