Immagina di essere in una gabbia, come un uccellino. La gabbia è dorata, c’è cibo vario e a sufficienza, c’è anche l’acqua pulita, una piccola altalena dove puoi dondolarti visto che le dimensioni della gabbia non ti permettono un lungo volo, solo svolazzamenti.
Attraverso le sbarre dorate scorgi un mondo più vasto occupato da strani bipedi, ma senza penne, che quindi non possono volare. Essi provvedono alle tue necessità. La tua sopravvivenza dipende da questi esseri molto grandi e potenti, i cui occhi ti osservano, la cui voce suadente ti incita a cantare. Se non si canta, quale ragione c’è di abitare una gabbia dorata, di essere nutriti e serviti? Questo è il patto. L’uccellino canta, canta, poi comincia ad accorgersi che nessuno gli risponde. Si sente solo. Poi inizia a sentirsi stretto anche se il luccichio delle sbarre lo illude di essere “speciale” e importante. Comincia a fare strani sogni: si vede volare in spazi sconfinati insieme ad altri uccelli come lui. La scissione tra la realtà e il sogno inizia a creargli problemi. Non può scegliere il suo destino. Si butta contro le sbarre fino a ferirsi, non mangia più, non canta più, diventa “inutile”, e dopo un po’ l’uccellino stramazza colpito dalla tristezza e dalla rassegnazione. Il bipede senza penne lo raccoglie e lo butta nell’immondizia. Se è il figlio del bipede, forse gli farà un funerale e piangerà. Dopo un po’, nella gabbia ripulita e splendente, ci sarà un nuovo uccellino.
Variante: L’uccellino sogna di volare in spazi sconfinati e scopre nuovi mondi. Si accorge che, oltre a cantare, la sua vera natura è quella di volare. A quel punto vede che la porta della gabbia è aperta. Decide di uscire dalla gabbia, un po’ stordito per la sua audacia; vola nella stanza colto da vertigini finché non trova una finestra aperta e si proietta gioioso nei cieli azzurri.

Cosa intendiamo per schiavitù? Il ruolo che la società si aspetta che ricopriamo? L’impossibilità di scegliere? L’illusione di scegliere? Nelle nostre gabbie dorate, con cibo vario e acqua, magari c’è un televisore, forse due, uno per ogni stanza, e ci lasciamo gestire da un pugno di bipedi che ci convincono che l’unica cosa da fare è cantare (o lavorare, se preferisci) per mangiare. Alimentiamo questa stravagante illusione pur di essere come il sistema e gli altri si aspettano che siamo; finiamo per sprofondare nella depressione, nelle dipendenze, nella malattia, convinti che non ci sia alternativa. Persino la scelta di uscire dalla gabbia è un’ illusione; per quanto più sana, sempre illusione è!
La vera questione è: “C’è mai stata veramente una gabbia?”. Siamo nati liberi e, paradossalmente, per assaporare il dono intrinseco della libertà siamo stati indotti a credere alla gabbia dorata.
La buona notizia: una volta che ci accorgiamo di essere schiavi, nel cuore della notte la verità cavalcherà i nostri sogni per ricordarci la nostra appartenenza ad orizzonti infiniti. Crederci o meno farà la differenza. Se è vero o non lo è, non è più rilevante dal momento che ci crediamo.