(di Maralis) – L’Italia diventa sempre più sensibile al tema della protezione degli human rights defenders, i difensori dei diritti umani. Tanto che, dopo Trento, anche Padova sarà presto una pioniera delle città-rifugio.
Grazie ad una campagna lanciata un anno e mezzo fa dalla rete In difesa di formata da oltre 40 associazioni italiane, anche il nostro Paese avrà le sue shelter-cities, luoghi protetti per avvocati, blogger, attivisti in pericolo. La provincia autonoma di Trento ha già approvato una mozione a riguardo, e presto seguirà la provincia di Padova.
«Ma entro fine anno contiamo di arrivare a cinque enti locali trasformati in shelter cities italiane»,
anticipa a b-hop Francesco Martone, portavoce della rete In difesa di…
Ma cosa sono esattamente le città-rifugio? Luoghi sicuri e protetti nei quali i perseguitati in patria per via del loro essere schierati per professione a difesa dei diritti dei più vulnerabili (pensiamo a chi protegge i popoli indigeni in America Latina o agli avvocati e blogger in Cina, o ancora agli attivisti per diritti degli omosessuali in Africa), potranno vivere tranquilli ma in attività per un periodo circoscritto della loro vita.
E continuare a lavorare anche a distanza, per portare a compimento la loro missione.
«Sono due le città italiane che iniziano a muoversi in questa direzione per esser accreditate come shelter city: una è Trento, che ha annunciato di recente il suo coinvolgimento in questo meccanismo – assicura Martone – e l’altra è Padova, che ancora non ha formalizzato l’impegno, ma presto lo farà».
«Stiamo lavorando anche su Prato e poi con la Regione Lazio e il comune di Milano», dice.
Ma come si fa a candidarsi per essere una città che protegge chi nel proprio Paese ha dei problemi a proseguire con il lavoro di attivista? Ricordiamo che solo nel 2017 sono morte 312 persone, assassinate perché combattevano per i diritti umani. Parliamo spesso di regimi, altre volte di democrazie a rischio, Stati come la Colombia, la Mauritania, l’Iraq, l’Eritrea.
Intanto, per accogliere, bisogna avere una “vocazione” già avviata, spiega Martone. Ad esempio, una società civile che abbia già preso a cuore una causa specifica.
Poi ci si deve collegare ad un protocollo d’intesa che nel frattempo va avanti a livello nazionale. Bisogna cioè manifestare l’interesse ad ospitare un “perseguitato” e prendersi anche dei rischi o la responsabilità di tutelare la sua identità. Certo, l’Italia rispetto ad altri Paesi è indietro ma comincia a muovere passi importanti.
«Il tema human rights defenders in Italia è relativamente nuovo – spiega Martone– In Germania o Olanda, invece, già esistono gli shelter e funzionano bene. Per i nostri enti locali questo è un uovo di colombo, adesso ci dicono: “finalmente per la prima volta quando parliamo di diritti umani sappiamo esattamente cosa possiamo fare per tutelare le persone“».
Si tratta di attivare anzitutto un sistema di relazioni diplomatiche abbastanza solido e multi-livello.
«Necessariamente il nostro lavoro nella Campagna italiana coinvolge le ambasciate e il ministero degli esteri. Noi siamo da due anni in dialogo con la Farnesina su questo», spiega ancora l’attivista.
E i risultati si vedono: nonostante l’incertezza politica l’Italia è ormai ingaggiata.
«La Farnesina ha risposto per ora organizzando un mega convegno a Roma sulle buone pratiche.
Il 18 giugno prossimo saranno presenti alla Farnesina, attivisti dall’area euro-mediterranea, l’Ong Frontline defenders, e Justice & Peace, una Ong olandese che gestisce il programma locale di protezione e molti altri.
«Questa roba qui in Italia non è stata mai fatta. Intanto creiamo le premesse perché si possa iniziare a capire come fare: incontriamo soggetti che già fanno opera di protezione».
In effetti ad Amsterdam, Groningen, l’Aja, Maastricht, Middelburg, in Olanda, esistono convenzioni e strutture dove le persone perseguitate possono riprendere fiato, cercare alleanze, ricaricare le energie. Lavorare da avvocati, giornalisti, blogger, attivisti.
Un esempio? Amsterdam. Dove «puoi essere ciò che sei, amare chi vuoi e pensare e credere in ciò che desideri. Libertà e tolleranza sono parte integrante della città. Ed è questo che rende Amsterdam una shelter city per eccellenza». Così si legge sul sito olandese.
Lookkaté, ad esempio, è un’attivista che viene dalla Thailandia dove promuove i diritti civili e politici del popolo Thai. Ora si trova in Olanda dove ha trovato momentanemente un po’ di pace. E di alleati.
«L’altra grande sfida è in effetti quella di trovare terreno fertile: una società civile locale che non solo accolga ma che collabori con lo human rights defender», spiega ancora Martone.
«Quando un attivista minacciato tende a lasciare il paese d’origine prima ci sono dei protocolli da seguire, dei visti da ottenere, uno status di protezione internazionale temporanea per esempio», spiega infine Martone.