(dalla nostra corrispondente a Parigi) – Un ragazzo, uno specchietto in una mano, una spazzola in un’altra, si pettina febbrilmente il ciuffo. Indossa un giubbotto antiproiettile. In una viuzza lastricata un gattino avvicina il muso alla mano di un uomo: questi, chinato teneramente, ha il volto nascosto nella kefiah mentre un kalashnikov pende rigido dal suo braccio. E ancora, un bambino che sprofonda il viso in una pozza d’acqua, o il volto disperato di una donna sorpreso tra la folla. Sono alcuni degli scatti di Muzaffar Salman, fotoreporter siriano rifugiato in Francia, esposti alla mostra fotografica “Alep point zéro”, organizzata dalla Maison des journalistes di Parigi.
La mostra, inaugurata il 5 maggio scorso e allestita fino al 15 settembre 2015 nei locali della Maison des journalistes (35 rue Cauchy 75015), raccoglie le foto scattate da Muzaffar nel corso del 2013 ad Aleppo, città sotto assedio in pieno conflitto tra ribelli ed esercito. “Quando i contadini e gli studenti si sono uniti alla rivoluzione – spiega Muzaffar in un’intervista pubblicata sull’ “Oeil de l’exilé”, il giornale on line della Maison des journalistes – hanno aperto dei varchi nei muri delle abitazioni per poter passare di casa in casa e sfuggire ai cecchini. Questi passaggi hanno collegato centinaia di case, creando così un unico spazio che ha riunito i siriani per la prima volta in quarant’anni. Questa continuità urbana è stata chiamata ‘Punto Zero’”.

Un centinaio di foto ricoprono i corridoi della Maison des journalistes, dove alloggiano ogni anno circa trenta giornalisti provenienti da Paesi come Siria, Iran, Afghanistan, Russia, Ciad, Tibet, Cuba. All’esterno, quindici enormi immagini della guerra e della vita ad Aleppo fanno alzare gli occhi dei passanti su questa ex fabbrica di spazzole, oggi rifugio e simbolo della libertà di stampa nel mondo. L’obiettivo di Muzaffar coglie istanti di vita dove ci si aspetta di trovare solo polvere e sangue. L’antica città-giardino di Aleppo, completamente trasfigurata dai bombardamenti, davanti allo sguardo del fotografo pulsa e respira: nelle strade polverose dove, indifferenti, continuano a crescere piante e fiori che qualcuno, intento a spegnere un incendio, si ricorda di innaffiare; tra i cortili delle case sventrate, dove i bambini corrono sui loro tricicli alzando lo sguardo curioso agli elicotteri di passaggio; sui muri trivellati, dove campeggiano immobili dichiarazioni d’amore e dipinti idilliaci. Le foto di Muzaffar Salman sono un autentico omaggio ad Aleppo, alla vita di Aleppo. Prima di tutto, nonostante tutto.

Muzaffar, nato a Homs nel 1976, dopo aver vinto nel 2006 a Roma il premio per la fotografia “Sguardi incrociati” nell’ambito del progetto europeo Meda, ha collaborato con alcune delle più grandi agenzie del mondo, come Reuters e Associated Press. Le sue foto della rivoluzione sono apparse sulle prime pagine del New York Times, del Washington Post, del Telegraph. Fino al 2012, quando le pressioni del regime, la continua sorveglianza, gli interrogatori, lo costringono a lasciare la Siria dapprima per il Libano, poi per la Francia.
Arrivato a Parigi nell’estate del 2014, trova rifugio alla Maison des journalistes, una struttura unica al mondo che accoglie giornalisti richiedenti asilo, fuggiti dal loro Paese per aver esercitato il proprio mestiere. “Un punto zero da cui ripartire”, ha detto la direttrice della Maison, Darline Cothière, in occasione del vernissage della mostra, avvenuto in prossimità della Giornata mondiale per la libertà di stampa (celebrata il 3 maggio). Oggi Muzaffar, in attesa di ricevere lo status di rifugiato, studia il francese e si prepara a una nuova vita, lontana per sempre dal Paese in cui è nato.

